I dieci comandamenti

Fabrizio De André è stato un cantautore italiano. Considerato da gran parte della critica uno dei più grandi cantautori italiani di tutti i tempi, è conosciuto anche con l'appellativo di Faber che gli dette l'amico Paolo Villaggio, con riferimento alla sua predilezione per i pastelli e le matite della Faber-Castell, oltre che per l'assonanza con il suo nome. Oggi parleremo di uno dei tantissimi pezzi dell'autore: Il Testamento di Tito.
Tito secondo un vangelo apocrifo era uno dei due ladroni crocifissi assieme a Gesù. La canzone si presenta come la confutazione di tutti i dogmi, di tutte le morali, di tutte le imposizioni in nome di un "Dio" astratto e lontano, di cui si servono gli uomini come pretesto e per il loro potere: il rispetto per padri inumani e crudeli, i riti vuoti, le morali edificanti e oppressive, la disumana ipocrisia della pena di morte. È la canzone di un uomo che, di fronte alla morte, non si piega e trova il coraggio di vuotare il sacco, senza più niente da sottacereTito, sebbene identificato come peccatore, è l’unico che prova dolore nel vedere un uomo che muore, e infatti l’ultima strofa è il riscatto del peccatore che sembra essere l’unico ad aver “imparato l’amore”. 

La narrazione comincia subito con il primo dei dieci comandamenti: Non avrai altro Dio fuori di me. Tito vola subito con la mente a religioni e culture orientali che hanno un credo diverso e quindi un Dio diverso: quindi bisognerebbe ritenere peccato il credere ad un altro tipo di essere supremo? Poi un esempio importante è la confutazione del quarto comandamento: Onora il padre e la madre. Questa legge divina implica rispettare ed onorare “anche il loro bastone”, la loro gratuita violenza usata come strumento per fermare un bisogno naturale: la fame. E così, per non tradire la legge di Dio, Tito avrebbe dovuto baciare “la mano che ruppe” il suo naso soltanto “perché chiedeva un boccone”. Ed infine il sesto comandamento, che avvolge una tematica ancora attuale nel mondo religioso: Non commettere atti impuri, cioè non disperdere il seme”. La legge divina vuole che ogni seme dia il suo frutto, in contrapposizione con la volontà di chi vorrebbe soddisfare un desiderio naturale senza però mettere al mondo dei figli. Fecondare una donna ogni volta che l’ami” non fa, secondo Tito, un uomo di fede ma fa un uomo che irresponsabilmente mette al mondo bocche che non può sfamare. 

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