Il (Mah)mood della politica

https://youtu.be/22lISUXgSUw
Il testo parla di una delusione d'amore, dettata del fatto che chi canta si è accorto che la persona che credeva lo amasse e tenesse a lui aveva in realtà intenzione solo di approfittarsene, puntando ai soldi. La persona in questione non è una donna o un uomo di cui è innamorato, ma suo padre. Dalla canzone traspare chiaramente anche il tradimento di quest'ultimo verso la madre, quindi la delusione non è solo dell'autore. Ormai riceve solo una domanda da lui:"come va?", come se già non lo sapesse o se gli importasse davvero. "Lasci la città ma nessuno lo sa, ieri eri qua ora dove sei papà", ad indicare che sono state tante le volte in cui gli aveva promesso di ricominciare da capo il loro rapporto, però poi era sempre sparito nel nulla.
(2° voce) Il mondo si è sempre prostrato alla migrazione, all’incessante bisogno di evasione da una realtà disonesta ed effimera nei diritti naturali, partorendo sogni di un’attesa salvezza, generando anche figli di nessuno e senza patria. L’integrazione diviene così l’unica arma di difesa, di conforto, di appartenenza e Mahmood ne è un perfetto esempio, poiché di straniero ha solo il cognome. Diversi hanno condiviso un proprio pensiero in merito alla sua vittoria, tra cui certi sostenitori del partito della Lega, come: “Chiudiamoli questi c’entri di accoglienza, questi vogliono solo soldi!” o “Festival della canzone italiana… e poi vince uno straniero, che barzelletta!"; poi ci sono anche i commenti del sud: “Mah, ha vinto un marocchino”, “Ma dove siamo arrivati... dove finirà l’Italia”.
Da ragazza del sud ho sempre sognato l’Italia, quella dell’uguaglianza, del rispetto reciproco, dell’accoglienza, della libertà nella partecipazione verso un paese in cui il senso patriottico non fosse designato da un Sud o da un Nord. Ho sognato l’Italia… ma non so più quale, forse quella di Battiato che “affondava nel fango dei maiali” o forse quella di De Gregori che “era da dimenticare”. Ho sognato la Sicilia, ma non quella presa a calci dallo “stivale”, quella che rinunciava alle sue tre punte per fondersi con l’intera Italia. Ho sognato la ribellione, la rivolta inneggiata come una bandiera dall’inno di Gaber e seguita dal coro dei “morti in mare”. Ho desiderato un matrimonio tra il Nord e il Sud, mentre io facevo da testimone. Ho sognato che le mia lacrime creassero ponti tra il meridione e il settentrione, ma ho smesso di sognare ed ho iniziato a ringraziare i migranti, a discapito della mia coscienza: da quando ci sono loro, noi del Sud non siamo più “il problema” dell’Italia. Gaber scrisse “abbiam fatto l’Europa facciamo anche l’Italia” e la verità è proprio questa, per l’Italia non esisterà mai l’Europa fino a quando non sarà più divisa come in due regioni e fino a quando io non mi sentirò più vicina ad un migrante che ad un italiano.
In collaborazione con Giulia Giudice: https://jesuislemigrant.blogspot.com
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